Le diverse Culture Regionali - Ente Nazionale Risi

Le diverse Culture Regionali - Ente Nazionale Risi

LE DIVERSE CULTURE REGIONALI

ll riso ancor oggi, nel mondo occidentale, e visto come un cibo che "fa bene", che "si da ai bambini", non certo come cibo buono .
L’Italia vuole proporre il riso come un prodotto che da un lato garantisce la perfetta salubrita, dall'altro entra in una possibilita gastronomica ricca e di qualita. Il riso deve essere venduto, proposto come una componente di qualita per una gastronomia di qualita.
Potrebbe percio essere interessante indagare sul percorso compiuto dalla coltivazione del riso per attestarsi, in Italia, nelle regioni oggi considerate vocate: cioe quelle che s'affacciano sulla grande Pianura Padana;
potrebbe essere interessante, poiché in effetti si sa pochissimo e la conoscenza potrebbe gettare qualche luce su alcuue delle abitudini alimentari regionali per quanto riguarda il modo d`uso di questo cereale.

E' necessaria comunque una premessa mai troppo ribadita: i sapori, gli odori, i profumi non si comunicano se non per accostamenti ad altri sapori, odori e profumi dati per conosciuti. E quindi illusorio soltanto pensare di poter considerare come conosciuta una tradizione alimentare se si superano le due, tre generazioni. Non solo non possiamo saper nulla di oerto sulle nostre ed altrui tradizioni gastronomiche, né del nostro Medioevo, ué del nostro Rinascimento, di cui abbiamo ampia documentazione scritta relativa a fomiture ed ingredienti, ma non possiamo nemmeno documentare l’uso di un bene in rapporto a quello che noi oggi riconosciamo come il suo sapore; e questo non solo per il facile discorso sul degrado della qualita del prodotto naturale, ma anche per le traslazioni del gusto dovute a diverse tecniche di conservazione e di stoccaggio, a differenti modi di lavorazione dell’alimento, all’estremamente mutato contesto in cui il cibo viene lavorato e gustato.
Per quanto riguarda il riso, basti il fatto che, pur essendo senz’altro presente nel mondo occidentale in epoca classica, come pianta iutendo, il suo uso alimentare sul territorio nazionale lo si puo far risalire alla fine del XV secolo e in quell’epoca, data la quantita estremamente scarsa della produzione, dovette senz’altro essere considerato cibo di lusso. atto alle mense principesche e difiicilmente assimilabile o rapportabile al ruolo che ha oggi, pur nelle stesse zone della Padania. 

Ma andiamo con ordine. Devono sussistere due fondamentali condizioni perché il riso possa essere coltivatoz la prima, che il territorio scelto presenti una ricchezza d’acqua fluviale da inondazione tale da coprire la pianticella 
durante alcune fasi della sua crescita per impedire, o per lo meno attenuare, i troppo forti sbalzi di temperatura tra il giorno e la notte; la seconda condizione, che il territorio si trovi, per clima e latitudine, all’intemo di quella fascia atta, per sue caratteristiche generali, a permetterne la crescita. 
Or bene, proprio rispetto a queste due caratteristiche la Pianura Padana e da considerarsi zona vocata in quanto zona limite. Per latitudine infatti piu a Nord del 46° parallelo non esiste coltivazione risicola signiiicante, neppure del tipo "japonica", che noi utilizziamo. Per le acque, si deve pensare che un tempo tanto la Lombardia era da considerarsi propizia, in quanto nessuno dei liumi che la percorrevano in pianura era imbrigliato da argini o guidato da fossi. In Piemonte, infatti, si rese ben presto necessaria un’operazione di canalizzazione e di ingegneria idraulica, sistemando le risaie a piu livelli per utilizzare le percolazioni e, con un sistema di chiuse, per turnare l’acqua che altrimenti non sarebbe stata sufficiente; in Romagna e Polesine, invece, il problema si presentava per certi aspetti in modo diametralmente opposto. 
c’era cioe la difiicolta di eliminare l’acqua quando non era necessaria. 

Se partiamo da queste considerazioni, fra le varie ipotesi che si formulano sull'origine della coltivazione risicola chi vuole siano stati gli Arabi ad introdurla in Sicilia, chi i Veneziani dall’Oriente, chi gli Aragonesi ad iniziare la coltivazione nel Regno di Napoli dopo aver appreso le tecniche di coltura dai Mori, invasori della Spagna. Quest’ultima appunto diventa la piu interessante perché presume una coltivazione d’origine meridionale, in zone  paludose e piu vocate, per scivolare col tempo verso Nord, iino a stabilizzarsi nelle zone ai coniini della coltivabilit, ove ingrandirsi. Tesi questa, ripresa anche da Marcel Mauss in "Teoria della Magia ed altri saggi" per quanto riguarda gli stanziamenti umani intorno alla vite e all'olivo, che sottintende una spinta economica, da Sud, di prodotti piu caldi che esautorano quelli stanziali in quanto privi di valore aggiunto; valore aggiunto appunto che comincia a farsi tanto interessante da raccomandare la coltivazione su larga scala proprio la dove naturalmente il prodotto non crescerebbe, nelle zone cioe prossime ai confini Nord della coltivabilità.

Se questa tesi fosse vera, molte cose del riso, altrimenti inspiegabili, potrebbero essere comprese, anche dal punto di vista della storia dell°alimentazione e della gastronomia, oltre che dal punto di vista della storia economicag si capirebbe finalmente perché il riso, conosciuto da sempre, sia stato iino alla fine del XV secolo una pianta officinale, atta a tisane e ad infusi semplicemente perché estremamente costosa per essere considerata alimento. Si spiegherebbe la diffusione della coltivazione a macchia d’olio in Padania, ad iniziare dalle zone del Pavese piu vicine agli straripamenti del Po fino ad invadere zone sempre piu lontane; solo quindi in un secondo tempo sarebbero state destinate a risaia terre prima a coltura asciutta come la Baraggia, la Brughiera e la stessa Lomellina, oggi indubbiamente da considerarsi le zone pin vocate per qualita. Non a caso la Baraggia e anche la zona piu a Nord e, a detta degli esperti, il riso di Baraggia risulta indubbiamente il migliore, con ridotta produttivita e necessitante di frequenti rotazioni: insomma e quella zona la Champagne del riso, infelice e dura come tutte le zone che danno prodotti difiicili e splendidi.
Procediamo nell’analisi della gastronomia italiana. Notiamo, che innanzittutto il "risotto" unifica ogni localita della Pianura Padana ed esclude qualsiasi altra regione; cio signiiica che e il piu usato come alimento base, in quanto permette di essere utiljzzato con verdure, grassi, o proteine animali o vegetali, in modo da renderlo un piatto estremamente equilibrato dal punto di vista di una corretta alimentazione e, sia ben chiaro!, questo vale soprattutto per l’oggi.

Il risotto per la sua caratteristica di cottura diventa il simbolo dell’alimento, vuoi per la sua capacita indubbia di assorbire grassi e sapore, vuoi per la sua versatilita d’uso.

E' significativo che la difficolta di cottura ne abbia impedito l’esportazione e l'impedisca tuttora, che pur si e nazionalizzato il costume alimentare del ceto medio italiano; "difficolta di cottura", dicevamo, volendo dire con questo termine non tanto una difiicolta reale, che non sussiste, quanto piuttosto una sostanziale differcnza dell’approccio rispetto agli altri alimenti base: le patate, la pasta o la polenta. E sigrnificativo notare che la polenta, che prevede la costante presenza di colui che cuoce per rimestarla, abbia avuto la stessa sorte del riso, confinandosi nelle zone fredde, ove stare accanto al fuoco proponeva dei vantaggi, anche se la coltivazione era iniziata, come si suppone per il riso, molto più a Sud.
Lo stare davanti al fuoco diventa quindi la discriminante, fra Nord e Sud; c’e del vero naturalmente in quests analisi, ma si sa che tali approcci critici hanno il scmplice scopo di proporre delle linee di lettura, parzialmente veritiere.

Ma andiamo avanti. Sarebbe interessante notare come anche il modo di cottura del risotto, all’onda o piuttosto sgranato, con molto condimento quasi secco dipende dalle zone, potendosi leggere un asse Ovest-Est che va dal riso piu asciutto e ricco di sapori forti, carni e intingoli significativi in Piemonte, fino a verdure fresche e pesce in Veneto.
Nelle zone più distanti dal Po, il piatto è estrernamente elaborato, un piatto cioè in cui il riso non è l'ingrediente principale, ma il legante di una sinfonia di componenti piu disparati. Semplice invece, e povero, sara il piatto di risaia, vicino al fiume, appena insaporito da parmigiano ed erbe aromatiche.

Ma il risotto non é l'unico modo, anche se molto significativo, di preparare un piatto di riso in Italia. Se allarghiamo a tutti gli altri modi di cottura e a tutti gli altri modi di utilizzo la nostra panoramica, possiamo notare come lo scenario muti in maniera determinante.
Sempre riferendoci al volume di Anna Gosetti della Salda, le citazioni di piatti a base di riso sono 125 di cul 90 nelle quattro regioni padane; le rimanenti 36 hanno questa configurazione: 29 riguardano regioni che si affacciano sul Tirreno con punte piu alte in Sicilia e Toscana e piu basse nel Lazio; soltanto 3 riguardano la costiera adriatica e sono localizzate tutte in zone borboniche; 4 il Friuli-Venezia Giulia, e sono piatti a base di componenti marinare di tradizione veneziana.
E' fondata la constatazione che quanto meno un alimento é radicato nell'economia di una zona, tanto piu la sua utilizzazione e riservata a ricette marginali e sofisticate: ricette cioe da realizzare in momenti rituali in cui l'alimento in questione si carica di ogni sua valenza simbolica o propiziatrice. E non senza significato allora che l’alimento diventi portatore non tanto della sua capacita di nutriente o di tessuto connettivo del piatto, quanto della sua capacita liturgica, garante delle scadenze temporali relative alle feste comandate. In ogni campo questo compito é stato assunto dal dolce, ed e interessante notare come la Sicilia per esempio, sia ricchissima di dolci a base di riso, pur non avendo molti piatti d’uso e come invece l'utilizzazione del riso nei dolci vada stemperandosi man mano che si sale verso Nord, raggiungendo la quasi nullita percentuale nelle zone della Padania dove, tra l’altro, quando come dolce é presente, diventa dolce povero, tipo la torta di riso.

I dolci quindi, o i piatti eccezionalmente belli, caratterizzano l'utilizzazione risicola nelle regioni che da tale cereale sono state toccate come cultura e memoria storica, ma la cui dimensione agricola non e mai stata influente riguardo ad una reale utilizzazione alimentare, tanto che ancor oggi se ne sottolineano gli aspetti rituali: quindi è stato colto appieno soltanto l'aspetto di unicità che si è immediatamente trasferito nel rito. 
Una noterella a parte merita il timballo che, pur non essendo indubbiamente un piatto rituale, e festoso senza dubhio per la sua capacita di apparire come forma armonica e geometrica. E quindi significativo che il Lazio, che non ha nelle sue abitudini alimentari il risotto, nel libro citato sia rappresentato da un timballo di fegati di pollo che e tipico piatto festaiolo il campagnolo con cui i commeusali gioiscono alla presentazione e che giustifica il rituale tipico della profanazione, cioe del primo taglio, della rottura dell’oggetto plasticameute presentato.
Esiste ovviamente, anche una fase di ritorno dell’utilizzazione del riso; pensiamo ai ripieni: pomodori, peperoni, melanzane, zucchine. Tali piatti, oltre ad essere quelli piu caratterizzanti la cucina medio orieritale, sono indubbiamente collegati con le cotture per infusione o bollitura. E significativo che la bollitura sia la caratteristica di altri piatti come i "risi e bisi" dove si prevede una cessazione di amidi abbondante; il riso e quasi una minestra, e il suo sapore si amalgama a quello del pisello che non avra dovuto essere ne saltato ne soffritto; ideale quindi un riso perlato come appunto si coltiva in Delta del Po. Se invece consideriamo il riso necessario per un ripieno di melanzane calabresi, ci accorgiamo immediatamente che deve presentarsi sgranato, ma che sia atto a cedere una piccolissima quantita di amido.

Resta un’ultima considerazione relativa al modo di cottura indubbiameme piu diffuso: la minestra di riso, con tutte le varianti dei risi cotti in brodo comunque accostati. Va da sé che la minestra rappresenta per la tradizione contadina e mediterranea il piatto base, poiché nulla nelle sue componenti va perduto e perché as facile la sua cottura e la conservazione del prodotto finito; e anche immediatamente intuitivo che questo piu di ogni altro piatto rimandi al "far bene", al "mangiar medicinale", sia perché e la conseguenza diretta e la variante ricca dell’infuso, sia perché il liquido, con i suoi grassi, permette piu facilmente il "mangiar caldo"; e il caldo é da sempre legato, come immagine associata alla terapia.
Tentiamo di trarre delle coriclusioni osservando la cartina allegata: possiamo vedere immediatamente come sia leggibile da Sud a Nord un andamento che liberando il riso dal suo aspetto rituale, legato al dolce, passa attraverso quello sanitario che bene o male permane in tutta la penisola per esaltarsi gastronomicamente soltanto in quella zona che e riuscita a liberarsi del rito, della Padania appunto con il trionfo del risotto.
ln questa approssimativa schematizzazione non esiste un desiderio di ricondurre un dato alimentare e gastronomico ad un semplice aspetto

antropologico; piuttosto c’è la possibilita di leggere un aspetto commerciale contemporaneo della nostra tradizione agricola.
Se tale analisi e vera significa una cosa soltanto: che nessun bene puo occupare i due aspetti incompatibili dell’esigenza alimentare, quello di far bene e quello di essere buono.

Il riso ne e evidente testimonianza. In questa lunga marcia dal Sud al Nord per il riscatto dalla sua valenza magica, ci piace immaginare il risotto alla milanese come il simbolo del trionfo del piacere, col suo giallo oro, con il suo preziosissimo e costosissimo zafferano, con il suo midollo vitale e saporito, come se tutta la storia di una coltura altro non fosse che trovare il punto opposto a quello della sua partenza per equilibrare esigenze di fame, di mercato, di sanita, di piacere.

 

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